E con questi quattro mesi abbondanti, temo che abbiamo battuto ogni record di silenzio su queste pagine. Beh, c'era il Natale, aspettavamo Noemi, poi è nata... ("ero rimasto senza benzina [...] La tintoria non mi aveva portato il tight [...] Le cavallette! Non è stata colpa mia!"). In compenso, parlerò non di uno, ma di due libri che ho letto in questo periodo, entrambi in lista di attesa da tempo, e finiti poi nell'ebook reader che mi ha regalato l'Uma Thurman di Città Giardino (che non ha voluto dare questo bellissimo nome alla figlia, forse per evitare omonomie :-))
Premessa: per André Agassi da giovane facevo un tifo molto acceso, poi ho smesso di seguirlo e ha iniziato a vincere l'impossibile. Nel 2011 è uscito Open, la sua (auto)biografia, scritta "con" il giornalista J. R. Moehringer: contattato dal tennista, il premio Pulitzer ha registrato centinaia di ore di conversazione e ne ha ricavato il libro, poi ha rifiutato di comparire come autore, perché quella era la storia di André.
L'infanzia è dominata dall'ossessione del padre che si riversa sul figlio più talentuoso: "Mike" Agassi, pugile fuggito dall'Iran, aveva deciso di allevare un campione di tennis, a costo di trascurare la scuola e di fargli colpire un milione di palline all'anno, lanciate dal "drago" (una macchina sparapalle modificata dal genitore), nel campo costruito nel giardino di casa. Di qui l'odio per il tennis, tenuto nascosto per decenni.
L'adolescenza nell'Accademia di Nick Bollettieri, la ribellione come ricerca di un'identità, il professionismo, la rivalità con Sampras, la relazione infelice con Brooke Shields e il matrimonio idilliaco con Steffi Graff. Nel frattempo, Agassi arriva nell'olimpo dei più grandi: è l'unico nella storia ad aver vinto i quattro tornei dello Slam, la medaglia d'oro olimpica nel singolo, l'ATP World Championship e la Coppa Davis. La vera motivazione arriva però con la necessità di trovare finanziamenti per l'“Andre Agassi Foundation for Education” e l'apertura della "Agassi College Preparatory Academy": dopo aver capito l'errore di aver rinunciato alla scuola, il campione decide di offrire ai giovani disagiati di Las Vegas l'opportunità di un'istruzione di eccellenza.
500 pagine che scorrono e appassionano, anche se in certi punti avrebbe giovato una sforbiciata alla successione di tornei, soprattutto quando non portano a tappe fondamentali della carriera.
CARI MOSTRI
Altra premessa, questa volta più lunga. Stefano Benni è il mio scrittore italiano preferito. Dotato di uno stile peculiare, capace di saltare agevolmente da un genere all'altro, spesso mescolandoli, ci ha regalato tante storie fantastiche, condite di gustoso umorismo, satira di dinamiche italiane o rappresentazioni di temi esistenziali: la vita di paese, il razzismo, l'inquinamento, l'autorità corrotta, il ruolo della televisione, la memoria, l'infanzia, la solitudine e la malattia. Per chi volesse approfondire, segnalo l'interessante tesi "La rappresentazione umoristica della società italiana nella narrativa di Stefano Benni", di Monica Faggionato.
Cari mostri raccoglie 25 storie, dal racconto breve alla vicenda articolata in più capitoli. L'umorismo si lega all'horror, prendendo spunto dai filoni classici (ghost story, vampiri, Edgar Allan Poe), dalla favola e dalle declinazioni più moderne (cinema di genere, cyberpunk e splatter). Un Benni un po' più cupo del solito - anche aldilà dei temi e dello stile - appassionante, senza passaggi a vuoto, anche se talvolta sembra mancare il finale (forse lasciato volutamente aperto).
Massimo
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