Inaugurate per caso con Pulp Fiction, continuiamo le recensioni sui cult movie moderni, post che per brevità possiamo chiamare RFTM (Recensioni Fuori Tempo Massimo). Tocca a Fight Club, di cui ricorrono i 20 anni. "Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club". Ma qui siamo rocker e non seguiamo le regole. Si comincia.
Fonte: cinemablend.com
Premessa autobiografica
Non vidi Fight Club al cinema, ero e rimasi prevenuto per anni. Quando decisi di vederlo, la frequentazione "clandestina" dei gruppi di sostegno scatenò la mia perplessità e mollai la pellicola per poi recuperarla anni dopo (2004, se ricordo bene). Furono in molti a scoprire il film solo anni dopo l'uscita in sala: costato 63 milioni di dollari, ne incassò 101 al cinema, per poi diventare un cult con la pubblicazione DVD.
Nel 1999 non conoscevo neanche Chuck Palahniuk, che poi, per qualche anno entrò nell'Olimpo dei miei scrittori preferiti, a fianco del Re e di Stefano Benni. Fu la folgorante lettura di Invisible Monsters a farmi appassionare allo scrittore di Portland, portandomi a leggere Fight Club e guardarne la versione cinematografica. Comprai e lessi tutti i romanzi, fino a vedere svanire l'entusiasmo: il livello di Palahniuk - secondo me - si è assestato decisamente più in basso rispetto ai due libri che hanno fatto scoccare la scintilla.
Nel film, diretto da David Fincher e sceneggiato da Jim Uhls, si trova un elemento comune nelle opere dello scrittore: l'incapacità di relazionarsi che spinge i protagonisti a comportamenti bizzarri, per reazione o per entrare in contatto con gli altri. Chuck Palahniuk ebbe l'idea del romanzo dopo essere stato picchiato durante un campeggio: al rientro in ufficio, nessuno dei suoi colleghi gli chiese come mai avesse il viso tumefatto. Rimase "affascinato" dall'incapacità di empatizzare. Anche il lavoro del protagonista e le lamentele per l'assenza dei padri derivano dall'esperienza personale dello scrittore, così come i gruppi di sostegno (cui accompagnava i malati come volontario). A suo padre e al suo capo il libro piacque perché pensavano che parlasse dei loro padri e capi...
Nel 1999 non conoscevo neanche Chuck Palahniuk, che poi, per qualche anno entrò nell'Olimpo dei miei scrittori preferiti, a fianco del Re e di Stefano Benni. Fu la folgorante lettura di Invisible Monsters a farmi appassionare allo scrittore di Portland, portandomi a leggere Fight Club e guardarne la versione cinematografica. Comprai e lessi tutti i romanzi, fino a vedere svanire l'entusiasmo: il livello di Palahniuk - secondo me - si è assestato decisamente più in basso rispetto ai due libri che hanno fatto scoccare la scintilla.
Nel film, diretto da David Fincher e sceneggiato da Jim Uhls, si trova un elemento comune nelle opere dello scrittore: l'incapacità di relazionarsi che spinge i protagonisti a comportamenti bizzarri, per reazione o per entrare in contatto con gli altri. Chuck Palahniuk ebbe l'idea del romanzo dopo essere stato picchiato durante un campeggio: al rientro in ufficio, nessuno dei suoi colleghi gli chiese come mai avesse il viso tumefatto. Rimase "affascinato" dall'incapacità di empatizzare. Anche il lavoro del protagonista e le lamentele per l'assenza dei padri derivano dall'esperienza personale dello scrittore, così come i gruppi di sostegno (cui accompagnava i malati come volontario). A suo padre e al suo capo il libro piacque perché pensavano che parlasse dei loro padri e capi...
Film di fine secolo
Molti film della fine del XX secolo, cavalcando forse le paure millenariste, portavano in scena scenari apocalittici, sia in senso letterale (Armageddon e tutto il filone catastrofico, da Deep Impact a The Core), sia in senso "sociologico" (nello stesso anno di Fight Club, Matrix mostrò l'umanità sconfitta dalle macchine e utilizzata come batteria; qualche anno prima, lo stesso Fincher con Seven aveva rappresentato i peccati capitali in una città violenta).
TRAMA (sostanzialmente spoiler-free)
I TEMI
METACINEMA
CAST
ANTICAPITALISMO IN SALSA ANARCO-FASCISTA
Sorvolando sul colpo di scena, che è uno degli elementi cardine del film (anticipato in vari punti), riassumerei così la storia: Jack, il narratore, è un perito senza vita sociale che combatte l'insonnia frequentando gruppi di auto aiuto per malati terminali: qui piange, si affeziona agli altri e riesce così a dormire. Va in crisi quando inizia una relazione confusa con Marla, che come lui partecipa alle riunioni senza essere malata. La sua vita cambia con l'incontro con Tyler Durden, carismatico e bizzarro venditore di sapone. Quando l'appartamento del protagonista esplode, Tyler lo ospita nella "sua" villa fatiscente e gli chiede di fare a pugni. Ne nasce un rituale che attira sempre più persone e diventa il "Fight Club", gruppo di lotta clandestina cui l'amico di Jack dà, tra un incontro e l'altro, un indottrinamento nichilista, contrario alla società, al conformismo, al consumismo e all'apparenza. I gruppi aumentano e diventano un'organizzazione paramilitare ecoterrorista che pianifica attacchi alle multinazionali: il "Progetto Mayhem" (caos) punta a distruggere il sistema economico americano. Al culmine dell'iniziativa, Jack dovrà affrontare la misteriosa sparizione di Tyler e il proprio rapporto con Marla.
I TEMI
La pellicola mostra diversi elementi in crisi: il consumismo che mostra i suoi limiti, dunque l'umanità alienata (lo stesso lavoro del protagonista calcola il valore delle vite umane in termini meramente economici), il maschio che ha smarrito il ruolo e trova nella violenza l'unico modo di esprimersi; il tutto intrecciato con il tema del doppio, presente praticamente in ogni sequenza. Si parla inoltre di automiglioramento, amicizia, amore, depressione, malattia e disturbi mentali. Un mix supportato da un ottimo cast e scelte di regia non convenzionali, forse non abbastanza efficace nel prendere le distanze dagli elementi negativi che mette in scena (benché Fincher obietti che è chiaramente una satira): i comportamenti deviati, il diventare cellule anonime di un'organizzazione sostanzialmente fascista (paradossalmente una reazione a una società alienante e opprimente), il maschilismo: “Siamo una generazione di uomini cresciuti da donne, mi chiedo se un’altra donna è veramente la risposta che ci serve”, dice Tyler; inoltre l'unico personaggio femminile non è particolarmente positivo... e forse neanche un personaggio, come vedremo. Se nel romanzo Tyler Durden viene definito psicopatico e sono esplicitati i suoi limiti, nel film è carisma puro (benché con elementi ridicoli, come i vestiti firmati a dispetto delle critiche al sistema e all'apparenza).
METACINEMA
Uno dei lavori di Tyler è il proiezionista, ma per rendere l'attività più divertente, inserisce fotogrammi particolari all'interno dei film (cosa che succede anche in Fight Club prima dei titoli di coda). Allo stesso modo, in diversi momenti della pellicola Tyler compare per una frazione di secondo (prima del volo dove incontra il protagonista, lo vediamo già 4 volte, solitamente quando Jack vive una frustrazione), in un video di benvenuto in hotel o in altri modi poco evidenti. Quando Tyler spiega ai suoi adepti che non tutti possono diventare rockstar, fissa il personaggio interpretato da Jared Leto, che da poco aveva fondato i Thirty Seconds to Mars.
Fonte: hitek.fr
Per Tyler Durden si era pensato a Russell Crowe, per Jack a Sean Penn e Matt Damon. Reese Witherspoon rifiutò di interpretare Marla (per lei il film era troppo dark), così come Sarah Michelle Gellar (impegnata con Buffy). Helena Bonham Carter la spuntò su Winona Ryder.
Ricorre, sopratutto nella prima parte del film, una critica al consumismo, alla definizione della propria identità attraverso le cose possedute, delegando al marketing le proprie scelte di vita. Jack ammette la propria ossessione per i prodotti Ikea ("Quale tipo di salotto mi caratterizza come persona?") prima ancora di incontrare Tyler Durden, che spiegherà come facciamo lavori che odiamo per comprare cose che non ci servono, e che saranno poi loro a possedere noi. Si sbeffeggia l'Occidente globalizzato e massificato, con gli arredamenti standardizzati (della già citata azienda svedese), le tazze di Starbucks presenti in ogni scena del film (Fincher: "Non ho niente di personale contro Starbucks. Penso che facciano una buona cosa. Hanno solo troppo successo"). Viene mostrata un'"ideologia" confusa che, al netto delle scelte estreme, può affascinare pubblici molto diversi. "Non sei il tuo lavoro; non sei quanti soldi hai in banca; non sei la macchina che guidi; non sei il contenuto del tuo portafoglio": partendo da un anticapitalismo che potremmo definire di sinistra (benché storicamente sia stato condiviso almeno in parte anche da assolutismi di destra), i personaggi fondano un movimento terroristico anarco-fascista. E prima ancora di questa deriva, al capitalismo e all'apparenza viene contrapposta una versione un po' estrema di "valori americani" come forza e coraggio.
I membri del Fight club finiscono per ripetere l'errore iniziale, e affidano il senso della loro vita a Tyler Durden: il film in qualche modo mette in guardia anche dalle ideologie estreme cui molti aderiscono senza giudizio, confidandovi ciecamente e addossando tutti i problemi al capro espiatorio scelto dal leader.
Se non viviamo la vita che vorremmo, non le diamo un significato autentico e fingiamo che la morte non ci sia, la parte della nostra mente che se ne accorge può reagire in diversi modi: con insonnia ("non sei mai realmente addormentato e non sei mai realmente sveglio", non sei né vivo né morto), nevrosi... e personalità multiple.
PROIEZIONI (spoiler alert)
Esistono siti dedicati esclusivamente al protagonista di Fight Club, come jackdurden.com, che espone una teoria interessante, parzialmente confermata da Palahniuk: Marla è una proiezione di "Jack", è già presente a inizio film, è sostituita "in volo" da un'altra identità (quest'immagine sembra rappresentare la transizione), prende il controllo del protagonista nella scena della lavanderia e nell'epilogo viene scelta definitivamente. Per chi non avesse ancora visto il film, diciamo che non sarebbe l'unico caso: lei e "quell'altro" - la migliore versione di Jack, la mascolinità e la ribellione a ciò che il protagonista odia senza riuscire a rinunciarci - sarebbero la rappresentazione di due aspetti del protagonista; spesso nel film li vediamo accomunati nell'abbigliamento, nelle azioni e nelle espressioni, nel non essere visti né riflessi negli specchi se non dal punto di vista di Jack. La presenza di Marla ai gruppi di sostegno fa tornare l'insonnia a Jack: "Her lie reflected my lie [...] And suddenly, I felt nothing. I couldn't cry. So, once again, I could not sleep" (La sua bugia rifletteva la mia. E all'improvviso, non sentivo niente. Non potevo piangere. E, di nuovo, non potevo dormire).
Diverse "proiezioni" nel corso del film vengono tradite ed eliminate, da Jack o da un'altra identità che non vuole concorrenti, finché rimane solo Marla, dunque la rinuncia alla "mascolinità": gli attributi maschili fanno parte di una paura ricorrente del protagonista, mentre uno dei temi del film è, come abbiamo visto, il declino della figura maschile in Occidente (rappresentata da Bob, probabile altra proiezione, forse "creatrice" delle altre).
Diverse "proiezioni" nel corso del film vengono tradite ed eliminate, da Jack o da un'altra identità che non vuole concorrenti, finché rimane solo Marla, dunque la rinuncia alla "mascolinità": gli attributi maschili fanno parte di una paura ricorrente del protagonista, mentre uno dei temi del film è, come abbiamo visto, il declino della figura maschile in Occidente (rappresentata da Bob, probabile altra proiezione, forse "creatrice" delle altre).
La villa fatiscente rappresenta, probabilmente, il crollo mentale di Jack, in particolare quando vi soggiornano anche Marla e Bob (nonché il progetto Mayhem), le diverse personalità che non riesce più ad alternare e tenere separate.
CINEMA E PSICOLOGIA
Già nella scena dei titoli di testa (tra le migliori di sempre), viene suggerito che buona parte della storia riguarda la mente del protagonista. Il suo percorso si offre anche ad analisi psicologiche ben più approfondite, come quella di humantrainer.com che provo a sintetizzare saltando le parti "spoiler": vediamo il disagio dell'uomo moderno, incastrato in un mondo che lo aliena e reprime i suoi istinti, impedendo all'aggressività e in generale alla pulsione di morte di sublimare. La repressione costringe il protagonista a spostare la carica libidica aggressiva sull'acquisto di mobili e vestiti e sui meccanismi che regolano il sonno. L'insonnia può essere causata dal perdurare della rabbia nella sua psiche che impedisce il riposo e il sogno, meccanismi inconsci per soddisfare le pulsioni inaccettabili per l'Io. Jack esprime il suo rancore verso il padre (distante e anaffettivo) e verso altre figure da cui si sente sottomesso, fino a programmare la distruzione dell'ordine costituito.
IL FINALE (ovviamente c'è un po' di spoiler)
L'epilogo (diverso dal romanzo) rispetta lo stile dell'opera, sopra le righe e affascinante: il "colpo di scena" viene drasticamente rimosso, sulle note di "Where is my mind" (ho poi scoperto che non ci sono altre canzoni dei Pixies che mi piacciano...), il protagonista rivela a Marla le proprie difficoltà, e insieme i due guardano la spettacolare riuscita del progetto Mayhem (probabilmente un paio di anni dopo non sarebbe stato rappresentato così in un film).
Massimo
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