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sabato 12 novembre 2016

E alla fine arriva Trump...

Purtroppo è successo quello che qualche mese fa sembrava un'eventualità inquietante ma improbabile. A Hilary Clinton, non percepita come sufficientemente "nuova" o "vicina alla gente", gli americani hanno preferito Donald Trump, un personaggio improponibile, forse il candidato presidenziale meno presentabile della storia recente degli Stati Uniti. E a chi sostiene che questa è la democrazia, che non dobbiamo insegnare agli altri come votare, che abbiamo il terzo premier/governo non eletto dal popolo, rispondo che è tutto giusto (a parte la terza considerazione, la solita bufala che aggira la realtà per "dimostrare" una tesi), ma nel caso specifico credo sia legittimo esprimere preoccupazione: stiamo parlando dell'elezione del Presidente di un Paese che, piaccia o no, guida l'occidente (e sarà così finchè l'Europa non sarà veramente un Paese unito, con una sua politica che vada aldilà dell'economia), con ricadute globali in termini di geopolitica, guerre, economia, ambiente.


DOPO OBAMA, UN RAZZISTA MISOGINO E VOLGARE: COM'E' SUCCESSO?
Un capolavoro, dagli stessi autori di "rieleggiamo Bush anche se ha iniziato due guerre pretestuose". Misogino, volgare, razzista, il campione del parlare alla pancia (ma ogni tanto bisognerebbe interrogarsi su queste pance). Portatore di un populismo "esclusivo", chiuso e ostile alle minoranze. Alla sua vittoria ha senz'altro contribuito la candidatura democratica, per quanto Hillary Rodham Clinton abbia preso complessivamente più voti di Trump: se da un lato era la prima donna a correre per la Casa Bianca ed era probabilmente più competente del suo rivale democratico, dall'altro il suo legame con Bill Clinton e le sue esperienze precedenti di governo la "inquadravano" necessariamente come una parte del "sistema", oltretutto con qualche responsabilità poco limpida in politica estera (votò per la guerra in Iraq e l'intevento in Libia). Sanders, fanno notare ora gli analisti, avrebbe intercettato molto di più la rabbia dei cittadini. Michael Moore aveva evidenziato 5 ragioni per le quali avrebbe vinto Trump
  • una campagna strategica su 5 stati del Mid West in cui è in crisi la tradizione democratica 
  • la rabbia dei "maschi bianchi" contro una candidata donna dopo 8 anni di presidenza "di colore"
  • l'impopolarità di Hillary Clinton (a favore dell'intervento in Iraq, contraddittoria su diverse tematiche "sensibili" come il matrimonio gay)
  • il "voto depresso" dei sostenitori di Sanders (che si sarebbero limitati a votare Clinton senza però impegnarsi a convincere altri)
  • la segretezza del voto (in uno dei pochi contesti in cui non si è controllati o giudicati, molti sfruttano la potenzialità di fare qualcosa di illogico)
Un successo nato fuori città
Un interessante articolo di David Wang illustra come il voto di martedì possa essere spiegato con la disillusione di chi vive fuori dalle città: la parte "country" del Paese occupa oltre il 96% del territorio americano, ospita il 38% della popolazione e produce meno dell'1% della cultura popolare. Provo a fare una sintesi:
Sono milioni di persone che hanno sempre visto con diffidenza i cittadini e le tendenze nate nelle metropoli, non sempre positive. La campagna: enormi aree degli Stati Unitimolto colpite dalla recessione ma poco sostenute dagli interventi pubblici. Centri abitati troppo piccoli per rimediare alla chiusura di un centro produttivo puntando sui servizi, e con il desiderio di spostarsi in città frustrato dall'enormità dei maggiori costi da sostenere. Persone impoverite ma senza la commiserazione riservata alle minoranze svantaggiate. Perchè hanno votato un miliardario arrogante e misogino? Per il desiderio naturale di avere dalla propria parte uno potente e aggressivo che dia ai propri nemici gli insulti che meritano, di tifare per una nuova versione del "poliziotto ribelle" che può infrangere le regole purchè porti a termine il lavoro.

EDIT.
Proletari che votano Trump?
Interessante anche il contributo di Valentina Fulginiti, pubblicato da  Wuming, che smentisce il fatto che Trump sia stato votato principalmente dai proletari o "working class". Una categoria difficile da etichettare, che tendenzialmente si è astenuta (ma prima aveva votato Obama). Trump ha invece raccolto tantissimi voti nelle persone con reddito superiore ai 50.000 dollari annui (non da nababbi, ma medio alto). Verosimilmente, una parte di popolazione contenta che Trump voglia smantellare l'Affordable Care Act, voluta da Obama per estendere l'assistenza sanitaria a una fascia più ampia di popolazione. Hillary Clinton avrebbe potuto usare questo tema per conservare il voto delle fasce di reddito più basse, ma non l'ha fatto. Altri elementi da tenere in considerazione:
  • la candidata democratica ha condotto una campagna priva di identità e di narrazione, facendosi dettare l'agenda da Trump
  • sondaggisti e media, quasi interamente pro-Clinton, hanno "nascosto" una situazione che si poteva prevedere
  • la retorica anti-cinese di Trump ha conquistato la «rust belt» (la fascia de-industrializzata che va dall'estremo Nord-est fino al Mid-West)
  • c'è stata una maggiore astensione dei cittadini di colore, e in generale dell'elettorato democratico: -7 milioni rispetto al 2012, addittura -10 rispetto al 2008. Sopravvalutato l'appoggio "latino" alla Clinton. Trump, come fanno notare molti, oltre ad aver preso meno voti dell'avversario, ha preso sostanzialmente gli stessi di Romney. Chi? Appunto. Il candidato che perse con Obama nel 2012
  • Trump è notoriamente ostile ai sindacati, come buona parte della "classe operaia" bianca. Ma a molti dev'essere sfuggito che non solo il presidente eletto è contrario all’innalzamento del salario minimo a 15 dollari, ma vuole deprimere gli stipendi della classe operaia per renderli competitivi
  • quella parte di working class che ha votato Trump non manifesta alcuna solidarietà verso diverse categorie con cui potrebbe convididere  la lotta di classe (madri single, persone a basso reddito che avrebbero fruito dell'Obamacare, lavoratori precari e sotto-qualificati, i giovani, per non parlare degli stranieri).
La sinistra (radicale e moderata, americana e non) si  è lasciata togliere il legame con la classe operaia e si è disfatta dell’identità di classe. In questo vuoto si sono diffuse le narrazioni tossiche, la nostalgia, la paura della complessità, la xenofobia, il razzismo, il discorso esclusivo dei suprematisti bianchi e dell’integralismo cristiano. 
La classe media bianca si qualifica come "working class" e beneficia della visibilità che ne deriva. Percepisce come emergenza economica un'ansia per il potere d'acquisto perduto, per il "posto in prima fila" che una volta era garantito anche dal razzismo istituzionale e sistemico, dall’esclusione delle donne, dei marginali, del «diverso».
Quella che ha spinto alla vittoria prima la Brexit e oggi Trump è un feticcio di working class: depurata di ogni diversità, non inclusiva ma esclusiva, fondata non su un comune ideale di solidarietà ma sulla comune appartenenza razziale. Prevalentemente maschile, virile, di una classe che si vorrebbe operaia o artigiana (nessuna solidarietà per chi lavora nel settore dei servizi, magari ai ranghi più bassi). Rigidamente «eterosessuale», i maschi nelle fabbriche o al fronte e le donne al loro posto, in pochi ruoli codificati e rassicuranti. Si fa forte di un certo anti-intellettualismo. Un’immagine di un bianco uniforme e monocromatico. Così definita, questa non è una classe sociale, ma un mito delle origini.

Obama
L'immagine più bella del post-voto è il discorso di Obama, molto unitario: "Siamo tutti tristi per aver perso le elezioni, ma il giorno dopo dobbiamo ricordare che facciamo tutti parte della stessa squadra. Prima di tutto siamo americani. Ho parlato direttamente con Donald Trump e mi ha detto parole importanti: 'siamo un solo popolo, siamo americani, patriottici'. Abbiamo bisogno di senso di inclusione, rispetto per la legge, spero che manterrà questi propositi durante questi anni. Ora facciamo tutti il tifo per lui".

 Fonte: businessinsider.com

ANALOGIE CON L'ITALIA E L'EUROPA
Sostanzialmente Trump sembra una sintesi dei protagonisti del populismo di casa nostra: Berlusconi (miliardario volgare, antisistema, donnaiolo), Beppe Grillo (molti slogan e pochi contenuti, accumulo di consensi urlando cose contro tutto e tutti, spostando sempre "fuori" la responsabilità dei problemi) e Salvini (ostilità contro stranieri e immigrati). Personaggi accomunati da attacchi contro tutto ciò che può essere visto come una causa esterna dei propri problemi: governo in carica, altri Paesi, immigrati, banche, Europa.

La diffusione di populismo, demagogia, avversione per partiti, politica e "sistema" ha naturalmente conseguenze elettorali che favoriscono le forze che cavalcano queste dinamiche. Di qui il consenso alle forze politiche antieuropeiste e antisistema, che in alcuni casi favorisce forze xenofobe. In Francia il Fronte Nationale di Marine Le Pen è sopra il 20% e ha vinto le ultime amministrative, lo UKIP di Nigel Farage ha raggiunto l'apice con il referendum sulla Brexit. In Spagna e in Grecia un populismo un po' più "inclusivo" ha avuto buoni risultati elettorali. E in molti Paesi dell'Europa centro-orientale emergono movimenti di destra e di chiusura verso gli immigrati, in particolare i profughi.






Massimo

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