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giovedì 27 dicembre 2007

Il Dalai Lama in Italia: Torino coraggiosa!

La visita in Italia del Dalai Lama, leader spirituale dei buddisti, poteva essere un'occasione per fare bella figura. Occasione sostanzialmente sprecata a causa del mancato incontro con in governo italiano e con il Papa. Il leader tibetano è stato però ricevuto dai parlamentari e ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Torino.

Lhamo Thondup, nato a Taktser (Tibet) nel 1935, a due anni è stato riconosciuto come il quattordicesimo XIV Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989 ed esponente del pacifismo. Dal 1959 vive in esilio in India, a Dharamsala (Himachal Pradesh), dove ha costituito il governo tibetano in esilio, con un seguito di 120.000 tibetani. Tra i suoi appellativi, Tenzin Gyatso, "Oceano di saggezza". Il governo cinese osteggia le religioni, "gestisce" una sua particolare "chiesa cattolica" autonoma che non riconosce il papa, e si accanisce in particolare con i buddisti, i tibetani e la loro richiesta di autonomia.

Mentre il Dalai Lama arrivava a Roma, il Ministero degli esteri cinese ha avvisato: «Nessuno Stato lo sostenga». Poco prima dell'atterraggio del suo volo a Ciampino, è partito quello di Prodi e del ministro degli Esteri D'Alema per Lisbona. Una circostanza che è stata messa in evidenza dallo stesso Dalai Lama: «non ci sono stati attacchi ufficiali, ma ci sono stati attacchi ufficiosi che hanno condizionato la disponibilità all'incontro e al dialogo da parte di alcune autorità pubbliche e di alcuni esponenti ecclesiastici», con un riferimento al governo italiano e al Vaticano.

D'Alema in serata ha precisato che «il governo non è disposto a cedere a nessuna pressione nel suo sostegno per l'affermazione dei diritti umani in Cina». Ma neppure «cede a chi pretende di definire l'agenda di incontri del Dalai Lama, che non sono stati chiesti». Insomma in questa visita il Dalai Lama non ha chiesto nessun incontro, «ma siamo lieti che sia qui». Non sono un esperto di relazioni diplomatiche, ma se il nostro governo avesse proposto un incontro al Dalai Lama, probabilmente Oceano di Saggezza avrebbe accettato volentieri...

Al summit dei premi Nobel organizzato dal sindaco di Roma Veltroni in Campidoglio, George Clooney ha rubato un po' la scena al leader tibetano che, insieme a Ugo Papi, consigliere per l'Asia del nostro ministro degli esteri, ha parlato per un'ora con il sottosegretario Gianni Vernetti. Altre visite a Montecitorio, nella sala della Lupa (dove fu proclamata la nascita della Repubblica italiana), al Salone degli Specchi di Palazzo Giustiniani, dove il presidente del Senato riceve i capi di Stato stranieri. «Ci rivolgiamo a voi, aiutateci» ha detto il Dalai Lama a oltre cento parlamentari di tutti i gruppi, riuniti ad ascoltare le sue parole alla Camera. Ha chiesto «un sostegno morale, pratico e concreto, che è davvero necessario» per vedere riconosciuti diritti che spettano ai tibetani e «che sono pure sanciti nella Costituzione cinese». Il leader buddista si è fermato per abbracciare Marco Pannella. Il presidente della Camera Bertinotti ha commentato: «La Cina è amica, ma noi siamo contrari alla repressione in Tibet». In contemporanea è giunta da Bruxelles la notizia che in una risoluzione votata praticamente all'unanimità dal Parlamento, la Ue ha chiesto che finiscano «le pressioni della Cina su Stati amici» del Dalai Lama. Un incontro con il leader Pd Valter Veltroni, un discorso davanti ai ministri Emma Bonino, Giovanna Melandri. E un consiglio buddista a tutti: «Amore e buon umore, calma e compassione riducono lo stress, perché l'odio e la diffidenza fanno male al corpo e all'anima».

Torino e il Piemonte per fortuna sono andati in controtendenza: il 16 dicembre, il Dalai Lama è stato ricevuto ufficialmente dalle istituzioni locali, ha parlato con l'assemblea comunale e quella regionale, ha ricevuto la cittadinanza onoraria del capoluogo. La decisione è stata adottata con consenso unanime di tutte le forze politiche. Un primo incontro si è svolto nell'Auditorium Rai di via Rossini. "E' dalle nostre madri che abbiamo imparato la compassione che e' alla base della fratellanza e dell'amore. Le donne - ha aggiunto - sono erogatrici di compassione e io credo che dovrebbero esserci più leader femminili nel mondo". Il Dalai Lama si e' detto veramente felice di ricevere la cittadinanza onoraria torinese: "Io sono veramente felice di ricevere questo riconoscimento: ho passato quasi mezzo secolo senza nazione e se ho trovato una casa meglio per me". In chiusura, insieme al Dalai Lama hanno acceso il "cero della pace" una monaca induista, un monaco buddista, un rappresentante musulmano, un pastore valdese, il rabbino capo della comunità ebraica torinese e un docente universitario cattolico.


Quello tra il Dalai Lama e la città è stato un “incontro politico”, ha precisato il sindaco Sergio Chiamparino, perché “la politica ha a che fare con la difesa della libertà e dei diritti umani”. “Il conferimento della cittadinanza non è un atto di ostilità verso il popolo e il governo cinese. Torino – ha continuato – è una città che si è sempre battuta nella lotta per la libertà e la democrazia e che vuole dare sostegno a chi si batte per la democrazia nel mondo. E’ una città aperta al dialogo politico, culturale e interreligioso”.
La giornata è stata ricca di appuntamenti fin dal mattino; l’invito a Torino da parte dell’Associazione Comuni, Province e Regioni per il Tibet, alla quale ha aderito anche il Comune di Torino lo scorso 17 settembre, ha trovato favore nei torinesi, coloro che hanno preso parte all’incontro pubblico presso l’Auditorium della Rai (solo 1500 posti) e coloro che hanno potuto assistere all’intera giornata, grazie ad un maxischermo montato in piazza Castello o alla diretta, in streaming, sui siti istituzionali.

Durante tutta la giornata torinese del Dalai Lama, sulla facciata del Municipio e all’interno della Sala Rossa è rimasta esposta la bandiera del Tibet. Non risultano reazioni particolari da parte della comunità cinese di Torino.

Nell’incontro con la stampa, il Dalai Lama si è rivolto ai giornalisti per riconoscerne il ruolo fondamentale: “Dovete essere come elefanti: avere il naso lungo per curiosare e scoprire cosa succede nel mondo. Scoprirlo, per poi raccontarlo in modo veritiero". Tecnologie e nuove risorse possono rappresentare delle possibilità se non vengono utilizzate esclusivamente come fine.



Possono essere opportunità anche i grandi eventi. Dalla città olimpica l’augurio, sottolineato dal Dalai Lama, perché Pechino organizzi Olimpiadi giuste che siano l’occasione “per fare pressioni sul governo cinese per migliorare la situazione dei diritti umani, della tutela dell'ambiente e delle libertà religiose".



La cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria può essere rivista sul sito di cittAgorà, periodico del Comune di Torino: http://www.cittagora.it.

L'alto profilo dato all'incontro torinese è stato sottolineato anche dai blogger milanesi, in polemica con la freddezza della loro amministrazione.

Riporto alcuni brani di un'intervista rilasciata a Repubblica:
Perché non ha incontrato il governo italiano?
"Già, perché? Chiedetelo a loro. Me ne dispiace. Un piccolo rimpianto c'è anche per non aver visto il Papa. Ma se ha trovato qualcosa di sconveniente, nell'incontrarmi, per me va bene, non c'è problema. Il Papa però rappresenta un'importantissima spiritualità. E la spiritualità deve essere ferma quando si tratta di principi".


Crede che le pressioni della Cina abbiano condizionato il governo italiano?
"Ovunque io vada, cerco sempre di non recare disturbo, quindi se provoco imbarazzo a qualche governo rispondo "Ok, nessun problema". Non sarò certo io a protestare. Il mio obiettivo più grande è la promozione dei valori umani e l'armonia tra le religioni. Ecco, l'unica cosa che mi sento di dire è forse che anche i governi e i leader politici dovrebbero fare qualcosa di più per promuovere i diritti umani e i valori".

Lei ha parlato più volte di un genocidio culturale in Tibet.
"Nel nostro paese, è vietato tenere una statua di Budda in casa, o esibire qualsiasi oggetto religioso. E' proibito fare pellegrinaggi ai templi. Nelle scuole, le autorità cinesi hanno tolto ogni riferimento alla religione, mentre nei monasteri buddisti sono incominciati gli indottrinamenti politici, divisi in punti. Il primo punto è quello che invita a criticare il Dalai Lama".

In Tibet è addirittura proibito pronunciare il suo nome, giusto?
"Hanno anche tolto tutte le mie fotografie. Ma non fa niente. La cosa fondamentale è che nel nostro paese c'è un'insofferenza sempre maggiore e che qualsiasi manifestazione di protesta o critica alle autorità cinesi viene repressa con la violenza. Arresti e torture sono all'ordine del giorno. I tibetani vengono trattati come cittadini di seconda classe nel loro stesso paese. Anzi, come animali da bastonare, a cui è negata qualsiasi dignità".

La Cina l'accusa di essere un leader politico che cerca l'indipendenza, un separatista.
"Sono accuse calcolate, perché da tempo i cinesi sanno che non cerchiamo l'indipendenza. Purtroppo è ormai chiaro che è in atto una strategia di denigrazione nei miei confronti. Volontaria e costante".

Se non cercate l'indipendenza, quali sono gli ostacoli per trovare un accordo con Pechino?
"Dal 2001 ci sono stati sei incontri tra la nostra delegazione e il governo cinese. Fino all'anno scorso, nel nostro penultimo colloquio, avevamo fatto molti progressi. Nella primavera 2006 sono invece ricominciate le accuse nei miei confronti e la repressione all'interno del Tibet. Prima dell'estate, durante il nostro ultimo incontro, Pechino ha rotto il dialogo. Dicendoci soltanto: "Non c'è nessuna questione aperta sul Tibet". Oggi devo ammettere che la situazione è molto critica, difficile. Da parte nostra nulla è cambiato. Siamo sempre in cerca di un riconoscimento della nostra autonomia, all'interno della Costituzione della repubblica popolare cinese".

Cosa possono fare i governi occidentali per aiutare la causa tibetana?
"La mia opinione su questo è che la Cina non deve essere isolata dalla comunità internazionale. E se guardiamo all'economia, l'integrazione dei cinesi è già nei fatti, ma non è sufficiente. Il mondo libero ha la responsabilità morale di portare la Cina nell'ambito della democrazia. La relazione economica deve essere un'amicizia alla pari, in cui vengono tenuti fermi i valori delle società aperte e democratiche. Se ci si presenta solo per fare affari, ripetendo unicamente "Sì, ministro", allora si rischia di perdere la faccia, e anche il rispetto dei cinesi".

Come sarà scelto il prossimo Dalai Lama?
"Ci sono tre opzioni. La prima, prevede che il mio successore sarà eletto con una procedura simile a quella del Papa, scelto da un conclave di religiosi. La seconda, potrebbe essere la scelta del Dalai Lama prima della mia morte. E' già successo. Infine, è possibile la mia reincarnazione, dopo la mia morte. In questo caso, se morirò in esilio, la mia nuova reincarnazione dovrà portare a termine quello che non ho potuto fare in questa vita. E quindi il prossimo Dalai Lama nascerà fuori dalla Cina".

I cinesi potrebbero scegliere loro il suo successore, come già è accaduto per il Panchen Lama.
"Se fosse così non sarebbe un Dalai Lama, ma soltanto un pupazzo (ride). Speriamo non lo facciano, anche se lo temo: i nostri fratelli e sorelle cinesi sono molto furbi e amano complicare le cose (ride)".

E lei si ricorda il momento in cui è stato riconosciuto come la quattordicesima reincarnazione del Dalai Lama?
"Avevo due anni, vivevamo in un remoto villaggio del Tibet orientale. Mia madre racconta che nei giorni precedenti all'arrivo della delegazione in cerca del nuovo Dalai Lama, ero stranamente eccitato. Poi quando i lama arrivarono, corsi verso di loro e riconobbi come miei gli oggetti del precedente Dalai Lama. E dopo due giorni, mentre andavano via, mi misi a piangere. Un comportamento molto strano: quale bambino vuole seguire degli estranei, invece che rimanere con la propria madre? (ride)".

Durante l'adolescenza, il suo paese è stato invaso e lei si è ritrovato a trattare con il Grande Timoniere, Mao Zedong.
"Lo incontrai nel 1954 a Pechino. Mi trattò come un figlio, mi diede consigli. Mi aveva quasi convinto ad iscrivermi al partito comunista. Ancora adesso mi considero metà buddista, metà marxista. Davvero, credo che il marxismo sia ancora la chiave di una giustizia sociale ed economica".

Eppure nel marzo 1959 dovette scappare dal Tibet, in piena notte e a dorso di uno yak.
"Dal palazzo reale di Potala vedevo l'artiglieria cinese avanzare. Non ho scelto l'esilio, sono stato costretto. E adesso è quasi mezzo secolo che sono un homeless, un senza casa, per fortuna ho trovato tanti amici all'estero, anche in Italia (ride)".

Ha voglia di esprimere un desiderio per il 2008?
"Spero che la Cina si aprirà al mondo, con fiducia e speranza".



Massimo

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