Finita la pausa "addio al celibato", torniamo alle cose serie.
Come molti di voi avranno notato, si è manifestato ancora una volta nel nostro Paese un meccanismo consolidato: dopo un lungo periodo in cui il continuo (e sospetto) aumento del costo del petrolio ha causato aumenti notevoli del prezzo del carburante e degli altri beni più o meno controllati dallo stato e legati all'energia (gas, luce...), la discesa dell'oro nero non ha comportato ribassi rilevanti del carburante, né frenato gli altri annunciati aumenti.
Segnalo l'intervento di un lettore sul forum telematico del Buongiorno, in cui la questione viene esposta con lucidità e riferimenti oggettivi.
Il problema però si allarga: perché il prezzo del petrolio aumenta? Perché, nonostante sia quotato in dollari, il prezzo in euro è aumentato costantemente (in parallelo a una forte svalutazione della moneta americana rispetto alla nostra)?
Qui entrano in gioco diversi fattori, principalmente legati agli interessi dei petrolieri, rappresentati dalla famiglia Bush, e da una serie di questioni statunitensi. Provo a sintetizzare un'analisi che trovate qui: dal patologico deficit commerciale - le importazioni superano sistematicamente le esportazioni - deriva la necessità di svalutare la moneta americana, riducendo i tassi di interesse (il che serve anche a contenere la crisi dei mutui). L'enorme spesa pubblica (legata a quella militare) andrebbe finanziata con le tasse, che non possono essere aumentate (causa allergia degli elettori); né può essere ridotta la spesa pubblica, già ridotta all'osso. Ne deriva il maggior debito statale del mondo. Invece di essere coperto con titoli di stato che contribuirebbero ad aumentare il deficit commerciale, viene coperto stampando quantità enormi di dollari, comprati dagli altri Stati per acquistare il petrolio. Finanziato il deficit statale, gli Usa possono contenere i tassi d'interesse e svalutare il dollaro per cercare di riequilibrare la bilancia commerciale.
Questo schema però ha bisogno di prezzi del petrolio sempre crescenti, e dunque è instabile. Di qui gli aumenti sistematici (che vanno aldilà dell'aumento della domanda) e gli eventi traumatici. Il dollaro non ha più il "monopolio" sull'acquisto del petrolio, e questo sembra legato a diversi conflitti recenti o "ventilati": un'ipotesi è che la guerra in Iraq sia stata scatenata dalla decisione dello stato mediorientale di vendere il petrolio in euro anziché in dollari, un'altra è che l'Iran sia il prossimo obiettivo per lo stesso motivo e non tanto per le "uscite" di Ahmadinejad; sembra che sia a rischio anche il Venezuela, che sta sostituendo gli USA come "prestatore di capitali" agli altri stati sudamericani, grazie ai guadagni derivati dall'aumento del prezzo del greggio.
Ancora una volta, che dire? Maledetto petrolio!
Come molti di voi avranno notato, si è manifestato ancora una volta nel nostro Paese un meccanismo consolidato: dopo un lungo periodo in cui il continuo (e sospetto) aumento del costo del petrolio ha causato aumenti notevoli del prezzo del carburante e degli altri beni più o meno controllati dallo stato e legati all'energia (gas, luce...), la discesa dell'oro nero non ha comportato ribassi rilevanti del carburante, né frenato gli altri annunciati aumenti.
Segnalo l'intervento di un lettore sul forum telematico del Buongiorno, in cui la questione viene esposta con lucidità e riferimenti oggettivi.
Il problema però si allarga: perché il prezzo del petrolio aumenta? Perché, nonostante sia quotato in dollari, il prezzo in euro è aumentato costantemente (in parallelo a una forte svalutazione della moneta americana rispetto alla nostra)?
Qui entrano in gioco diversi fattori, principalmente legati agli interessi dei petrolieri, rappresentati dalla famiglia Bush, e da una serie di questioni statunitensi. Provo a sintetizzare un'analisi che trovate qui: dal patologico deficit commerciale - le importazioni superano sistematicamente le esportazioni - deriva la necessità di svalutare la moneta americana, riducendo i tassi di interesse (il che serve anche a contenere la crisi dei mutui). L'enorme spesa pubblica (legata a quella militare) andrebbe finanziata con le tasse, che non possono essere aumentate (causa allergia degli elettori); né può essere ridotta la spesa pubblica, già ridotta all'osso. Ne deriva il maggior debito statale del mondo. Invece di essere coperto con titoli di stato che contribuirebbero ad aumentare il deficit commerciale, viene coperto stampando quantità enormi di dollari, comprati dagli altri Stati per acquistare il petrolio. Finanziato il deficit statale, gli Usa possono contenere i tassi d'interesse e svalutare il dollaro per cercare di riequilibrare la bilancia commerciale.
Questo schema però ha bisogno di prezzi del petrolio sempre crescenti, e dunque è instabile. Di qui gli aumenti sistematici (che vanno aldilà dell'aumento della domanda) e gli eventi traumatici. Il dollaro non ha più il "monopolio" sull'acquisto del petrolio, e questo sembra legato a diversi conflitti recenti o "ventilati": un'ipotesi è che la guerra in Iraq sia stata scatenata dalla decisione dello stato mediorientale di vendere il petrolio in euro anziché in dollari, un'altra è che l'Iran sia il prossimo obiettivo per lo stesso motivo e non tanto per le "uscite" di Ahmadinejad; sembra che sia a rischio anche il Venezuela, che sta sostituendo gli USA come "prestatore di capitali" agli altri stati sudamericani, grazie ai guadagni derivati dall'aumento del prezzo del greggio.
Ancora una volta, che dire? Maledetto petrolio!
Massimo
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