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martedì 6 novembre 2007

Addio Maestro Enzo, ci mancherai

Enzo Biagi, uno degli ultimi grandi giornalisti italiani, è morto oggi, a 87 anni, nella clinica milanese Capitanio dov'era ricoverato da giorni per problemi cardiaci e renali di lunga data, divenuti gravissimi nei giorni scorsi. Si è spento alle 8 di stamattina, serenamente, addormentandosi.



Dopo l'operazione a cuore aperto subita a Londra nel 1990, con il consueto umorismo aveva detto: "Ormai sto giocando i tempi supplementari". Ci lascia un'icona del giornalismo, in particolare di quello televisivo, autore di numerosissimi saggi, e prolifico scrittore: ha pubblicato 80 libri, prevalentemente pubblicati da Rizzoli che ne ha venduti 7 milioni di copie.
I funerali si terranno giovedì 8 a Pianaccio, piccolo borgo di Lizzano in Belvedere, sull'appennino tosco-emiliano, dove Biagi era nato il 9 agosto 1920.


LA CARRIERA
Dotato di un talento innato per la scrittura, fin da bambino dimostra una particolare predisposizione per le materie letterarie. Si dice che un suo tema particolarmente riuscito venne addirittura segnalato al Pontefice.

Biagi ha esordito sulla carta stampata durante il regime fascista, in particolare come recensore cinematografico. Nel 1937 compone il suo primo articolo, pubblicato sul quotidiano "L'Avvenire d'Italia", sul dilemma sorto nella critica dell'epoca se il poeta di Cesenatico Marino Moretti fosse crepuscolare o no. Comincia così la sua collaborazione con l'Avvenire d'Italia per il quale si occupa di cronaca, colore e piccole interviste a cantanti lirici. Nel 1940 è assunto dal Carlino Sera, versione serale de Il Resto del Carlino, come estensore di notizie (si occupa di sistemare gli articoli portati in redazione). A 21 anni diventa professionista, età minima prevista per l'accesso all'albo. I problemi cardiaci che lo accompagneranno per tutta la vita gli impediscono di rispondere alla chiamata alla armi, ma dal 1943 si impegna nella Resistenza, per poi avvicinarsi al socialismo. Il successo arriva con il settimanale Epoca, nel 1952, stesso anno in cui scrive il film "Camicie rosse", interpretato da Anna Magnani e Francesco Rosi.
La carriera si consolida poi con la stagione politica del
centrosinistra negli anni '60, caratterizzata da numerosi reportage e interviste.
Biagi ha lavorato per una decina di quotidiani, ha scritto numerosi libri di attualità, memorialistica, storia contemporanea, narrativa. Ricordiamo i romanzi "Disonora il padre" e "Una signora così così".
Arriva alla televisione
nel 1961, quando viene chiamato a Roma a dirigere il telegiornale. Nel 1963 cura la nascita del TG del secondo canale Rai e lancia RT-Rotocalco televisivo, il primo settimanale della televisione italiana. Presto però lascia la Rai per andare a La Stampa come inviato. Nel 1971 diventa direttore del Resto del Carlino e riprende le collaborazioni con la Rai, ma un anno dopo è allontanato dal quotidiano bolognese e torna al Corriere della Sera, dove aveva iniziato una collaborazione nella seconda metà degli anni '60.
Negli anni '70 realizza una serie di reportage in giro per il mondo pubblicati nella
serie "Geografia di Enzo Biagi". Comunicatore a 360°, Biagi usa anche il fumetto come mezzo d'espressione per raccontare cronaca e storia: i suoi "Storia d’Italia a fumetti", "Storia di Roma a fumetti" e "La storia dei popoli a fumetti" fanno parte di un suo progetto degli anni '70. Piu' recentemente, scrive anche per Topolino: è suo il soggetto della storia «Topolino e la memoria futura», pubblicata sul numero 2125 del 20 agosto 1996.
Negli anni si guadagna la fama di "acchiappa-imprendibili": Stefano delle Chiaie in America Latina (quando era ricercato per l'accusa di strage), Licio Gelli, Gheddafi (poche ore prima del bombardamento degli americani del 1986), Kennedy, Kissinger, Breznev, De Gaulle.
Nel 1982 conduce la prima serie di "Film Dossier", nel 1983, dopo "La guerra e dintorni", programma di Rai Tre dedicato ad episodi della seconda guerra mondiale, inizia a condurre su Rai Uno "Linea Diretta", uno dei suoi programmi più seguiti, approfondimento del fatto della settimana tramite il coinvolgimento dei vari protagonisti. Linea Diretta viene trasmesso fino al 1985 e riprende per una stagione nel 1989.
Nei primi anni '90, realizza prevalentemente trasmissioni tematiche di spessore: nel 1990 "Che succede all'Est?", nel 1991 "I dieci comandamenti all'italiana", che ricevette i complimenti di Giovanni Paolo II, l'anno successivo "Una storia" (sulla lotta alla mafia). Nel periodo di "Mani pulite", realizza "Processo al processo su Tangentopoli" (1993) e "Le inchieste di Enzo Biagi" (1993-1994).
Nel 1995 su Rai1 inizia la trasmissione "Il Fatto", una "striscia" di approfondimento di pochi minuti che segue il Tg1. Restano famose le due interviste a Roberto Benigni, l'ultima delle quali nel 2001 in piena campagna elettorale, dove il comico parla di Berlusconi e della sua candidatura alla guida del Paese. Nel 2001, scrive sul Corriere della Sera un ricordo dell'amico Indro Montanelli altra colonna del giornalismo italiano che lo stesso Biagi aveva fatto assumere in Rai.


Nel 2002 l'editto bulgaro lo estromette dalla Rai, dove torna di recente per alcune brevi apparizioni televisive, in particolare come ospite di Fazio su Raitre, a "Che tempo che fa".
Aldilà delle polemiche politiche degli ultimi anni, è sempre stato un commentatore autorevole e rispettato, per la sua professionalità e indipendenza.
Biagi aveva pubblicato nel 2005 un'autobiografia, "Era ieri", e l'anno scorso il saggio "Quello che non si doveva dire", sui fatti di cui si sarebbe occupato nella sua trasmissione, se il governo di centrodestra non l'avesse cancellata.


IL RICORDO DEI COLLEGHI
Dopo i familiari, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, interprete di un tipo diverso di giornalismo, è stato tra i primi a rendere omaggio: "Una persona ancora viva che ha lavorato fino all'ultimo giorno. Un essere umano con una forza che non ha avuto uguali nella nostra professione. Il ricordo più forte? La mano che mi ha sempre tenuto sulla spalla, fin da quando, nei primi anni '90, sono diventato direttore del Corriere della Sera. Nei momenti difficili lui era lì. Gli devo moltissimo, e quella mano mai, neanche una volta, me l'ha fatta pesare. A lui - continua Mieli - dava fastidio mostrarsi malato... Era un giornalista che aveva un vezzo nei confronti del suo direttore, voleva mostrarsi pronto a scattare e a partire". C'era una frase ripetuta puntualmente: "Guarda... se c'è qualche servizio che uno dei tuoi non vuol fare, se ci hai qualche giornalista pigro che non vuol partire, tu chiama me, che io parto". A proposito del cosiddetto editto bulgaro, Mieli aggiunge: «Per Biagi questo fu un brutto momento, però non credo che avrebbe voluto essere ricordato oggi per quell'episodio. Biagi è stato un grande, veramente uno dei numeri uno del giornalismo italiano. Capita ai numeri uno del giornalismo, incappano anche in polemiche con i poteri costituiti».

"Una frase non basta per ricordare un giornalista della grandezza di Biagi" spiega il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, che nell'edizione di domani del quotidiano pubblicherà un lungo ricordo dell'amico scomparso.

Interviene anche Giorgio Bocca: “Consideravo Enzo Biagi un giornalista globale nel senso che non si
limitava alla carta stampata, ma era anche un maestro delle pubbliche relazioni e della televisione, un pioniere, tra l’altro, del legame stabile tra giornalismo e industria. Biagi già 40 anni fa aveva una visione del giornalismo molto più moderna di noi. Enzo sapeva parlare all’uomo comune ed aveva una scrittura gradevole, in parte figlia di quel giornalismo bolognese che teneva molto in conto la retorica popolare”.

Per Gianni Riotta, direttore del Tg1 “è stato il maestro della mia generazione di giornalisti, scriveva e andava in onda sempre per il pubblico. Diceva sempre ‘no ai tromboni e ai titoli incomprensibili’”.

"E' andato via un maestro che ci ha insegnato molto", afferma Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24ore. "Credo sia rimasto il ragazzo di sempre, il cronista incuriosito che mette al centro di tutto la persona. Con lui muore uno dei testimoni del 900".

Michele Serra su Repubblica identifica in lui il giornalismo tout-court:
"L'ostracismo da lui patito negli ultimi anni non è stato dunque rivolto contro una posizione culturale o politica. E' stato rivolto contro il giornalismo, che lui personificava come pochi altri".



Sul sito de "La Stampa" è possibile ascoltare il ricordo di Biagi tratteggiato da un altro maestro di giornalismo, Igor Man.

"Un uomo libero e curioso, di grande equilibrio, esempio positivo di un modo di intendere la professione giornalistica al servizio della conoscenza e del Paese" così lo definisce Walter Veltroni, da ex direttore dell'Unità. "Tutti gli italiani ricorderanno la sua voglia di libertà, la sua passione e il suo rigore nel raccontare la storia e i personaggi del nostro tempo recente".

Anche una lunga nota della Rai rende omaggio al giornalista: «Con Enzo Biagi scompare un testimone attento di oltre 60 anni di storia italiana che, da grande giornalista, ha raccontato nei suoi articoli e nelle sue trasmissioni televisive con uno stile inconfondibile fatto di apparente semplicità ma pieno di contenuti e di richiami civili e sociali». Un giornalista «le cui trasmissioni e il cui nome rimangono incisi a grandi lettere nella storia del servizio pubblico, anche quale insegnamento ed esempio per chi opera nel mondo della informazione, per la sua coerenza e per la sua lealtà intellettuale. Alle tante realtà italiane e al loro cambiamento Biagi ha dedicato pagine memorabili di televisione riuscendo a trasferire nel pubblico la verità dei fatti ma anche le tante contraddizioni dei nostri tempi. La sua firma su un programma della Rai è sempre stata garanzia di alta professionalità e di sicuro successo anche per la capacità di dare in pochi minuti il senso di una notizia, spiegarla e commentarla senza fronzoli e senza concessioni alla facile spettacolarizzazione. Il ricordo della professionalità di Enzo Biagi continuerà ad essere, per la Rai, un riferimento sicuro per la prosecuzione con rigore e passione, della propria missione culturale e informativa».

L'OMAGGIO DELLE AUTORITA' DELLO STATO
Il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sottolinea invece la forza morale del giornalista e i
suoi saldi valori: "Scompare con Enzo Biagi una grande voce di libertà. Egli ha rappresentato uno straordinario punto di riferimento ideale e morale nel complesso mondo del giornalismo e della televisione, presidiandone e garantendone l'autonomia e il pluralismo. Uomo di genuina ispirazione socialista e cristiana che per il suo profondo attaccamento, sempre orgogliosamente rivendicato, alla tradizione dell'antifascismo e della Resistenza si era sempre schierato in ogni momento in difesa dei principi e dei valori della Costituzione repubblicana". «Negli anni in cui tanti perdevano la testa per Che Guevara e Ho Chi Min - aveva affermato Biagi di recente - a me continuavano a bastare i fratelli Rosselli». In effetti il suo motto, lontano dalle fedi dell'ideologia e ripetuto più volte, fu «curiosità e correttezza».
Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha inviato ai familiari di Biagi un telegramma di condoglianze, e ha
definito il giornalista "un grande maestro dell'informazione che si è battuto sempre per la salvaguardia della libertà dell'informazione e del Paese".

L'AMORE PER LUCIA
Aveva sposato Lucia Ghetti, insegnante, il 18 dicembre 1943. Nel 2003, dopo la morte della moglie, le ha dedicato un
libro, "Lettera d'amore a una ragazza di una volta" in cui scrive: "Cara Lucia, non ho altro mezzo per rivolgermi a te e ti scrivo una lettera che non leggerai mai. Ma è un modo per stare ancora un po' con te". Biagi ripercorre nel libro episodi pubblici e privati della sua vita, intrecciando la memoria personale con quella collettiva, regalandoci così anche un affascinante viaggio tra i fatti e i protagonisti della storia recente del nostro Paese.




LE POLEMICHE DEGLI ULTIMI ANNI

Allontanato dalla Rai nel 2002, a causa dell'"editto bulgaro" che aveva espulso lui, Santoro e Luttazzi dalla tv pubblica, Biagi è tornato in video nei mesi scorsi con una manciata di puntate di "Rotocalco Televisivo", programma che prendeva in prestito il titolo di una sua trasmissione di successo lanciata nel 1963.
Il 18 aprile 2002 Berlusconi "emana" l'editto Bulgaro. Biagi commenta così durante "Il fatto" di quel giorno:

«Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. »

Le trasmissioni de "Il Fatto" proseguono ancora per un mese e mezzo.
"Abbiamo cercato di raccontare quello che accadeva intorno a noi e tra noi": il 31 maggio 2002 Biagi si congeda così dagli ascoltatori di Rai 1, alla 168ma puntata dell'ottava edizione de "Il Fatto".
La dirigenza Rai decide di cancellare il programma, dopo un lungo dibattito iniziato a gennaio, quando il direttore di Rai Uno, Agostino Saccà, si era recato in commissione parlamentare di vigilanza RAI, dove aveva dichiarato che l'azienda doveva controbattere Striscia la notizia, e non poteva farlo con una trasmissione di 5 minuti che aveva conosciuto nell'ultimo periodo un calo di 3-4 punti di share. Dichiarazione contestata dai commissari del centro-sinistra, perché secondo l'Auditel il Fatto aveva uno share del 27,92% di media, quasi otto milioni di telespettatori, addirittura superiore alla quota dell'anno prima (26,22%).

Non era comunque il primo caso di censura per Enzo Biagi: nel 1986 non era stata trasmessa la sua eccezionale intervista realizzata per il suo programma, Spot, al colonnello libico Gheddafi poche ore prima del bombardamento degli americani. Ufficialmente a causa del clima di tensione esistente tra l’Italia e il paese arabo.



Personalmente, nel mio piccolo, avevo partecipato 8 anni fa a un incontro all'Unione Industriale di Torino tra lui e Scalfari, ed ero riuscito anche a far leggere dal moderatore un paio di domande, che avevo scritto sia per grande interesse personale sia nella speranza di poter arricchire la mia tesi sulla storia del telegiornale. Fu molto gratificante inserire quel contributo.

In questi ultimi anni in particolare, in cui si spaccia per informazione un'accozzaglia di pettegolezzi, trash e non-notizie, rischia di spegnersi la luce che rende il giornalismo un'arte.
Enzo Biagi, con il suo talento e la sua umanità, era uno dei pochi in Italia a dare ancora un senso a quell'arte, a mantenerne vivi il fascino e la moralità, a tenere accesa quella luce.


Massimo

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